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“Fleg"i`as, Fleg"i`as, tu gridi a v`oto”,
disse lo mio segnore, “a questa volta:
pi`u non ci avrai che sol passando il loto”.
Qual `e colui che grande inganno ascolta
che li sia fatto, e poi se ne rammarca [117] ,
fecesi Fleg"i`as ne l’ira accolta [118] .
Lo duca mio discese ne la barca,
e poi mi fece intrare appresso lui;
e sol quand’ io fui dentro parve carca [119] .
117
rammarcare = rammaricare
118
accolta – repressa interamente
119
parve carca – apparve carica; infatti Dante `e un corpo e non uno spirito
Tosto che ‘l duca e io nel legno fui,
segando se ne va l’antica prora
de l’acqua pi`u che non suol con altrui.
Mentre noi corravam la morta gora [120] ,
dinanzi mi si fece un pien di fango,
e disse: “Chi se’ tu che vieni anzi ora [121] ?”.
E io a lui: “S’i’ vegno [122] , non rimango;
ma tu chi se’, che s`i se’ fatto brutto?”.
120
la morta gora – la palude stigia, le cui acque stagnanti sono come morte
121
anzi ora – prima del tempo, cio`e ancor vivo
122
venire
Rispuose: “Vedi che son un che piango”.
E io a lui: “Con piangere e con lutto,
spirito maladetto [123] , ti rimani;
ch’i’ ti conosco, ancor sie [124] lordo tutto”.
Allor distese al legno ambo le mani;
per che [125] ‘l maestro accorto lo sospinse,
dicendo: “Via cost`a con li altri cani!”.
Lo collo poi con le braccia mi cinse;
123
maladetto = maledetto
124
sie = s`i
125
per che = per cui
basciommi ‘l volto e disse: “Alma sdegnosa,
benedetta colei che ‘n te s’incinse!
Quei fu al mondo persona orgogliosa;
bont`a non `e che sua memoria fregi:
cos`i s’`e l’ombra sua qui fur"iosa.
Quanti si tegnon or l`a s`u gran regi
che qui staranno come porci in brago,
di s'e lasciando orribili dispregi!”.
E io: “Maestro, molto sarei vago [126]
di vederlo attuffare [127] in questa broda [128]
126
vago – desideroso
127
attuffare = tuffare
128
broda – parola con la quale, beffardamente, Dante definisce la palude
prima che noi uscissimo del lago”.
Ed elli a me: “Avante che la proda
ti si lasci veder, tu sarai sazio:
di tal dis"io convien che tu goda”.
Dopo ci`o poco vid’ io quello strazio [129]
far di costui a le fangose genti,
che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
Tutti gridavano: “A Filippo Argenti!”;
e ‘l fiorentino spirito bizzarro
in s'e medesmo si volvea co’ denti.
129
strazio = scempio
Quivi il lasciammo, che pi`u non ne narro;
ma ne l’orecchie mi percosse un duolo,
per ch’io avante l’occhio intento sbarro.
Lo buon maestro disse: “Omai, figliuolo,
s’appressa la citt`a c’ha nome Dite [130] ,
coi gravi cittadin, col grande stuolo”.
E io: “Maestro, gi`a le sue meschite [131]
l`a entro certe ne la valle cerno [132] ,
130
Dite – la citt`a di Lucifero, posta nella parte inferiore dell’Inferno
131
meschita = moschea
132
cerno – distinguo chiaramente
vermiglie come se di foco uscite
Fossero”. Ed ei mi disse: “Il foco etterno
ch’entro l’affoca le dimostra rosse,
come tu vedi in questo basso inferno”.
Noi pur [133] giugnemmo dentro a l’alte fosse
che vallan quella terra sconsolata:
le mura mi parean che ferro fosse.
Non sanza prima far grande aggirata,
venimmo in parte dove il nocchier forte
“Usciteci [134] ”, grid`o: “qui `e l’intrata [135] ”.
133
pur – finalmente
134
usciteci – uscite di qui
135
intrata = entrata
Io vidi pi`u di mille [136] in su le porte
da ciel piovuti, che stizzosamente
dicean: “Chi `e costui che sanza morte
va per lo regno de la morta gente?”.
E ‘l savio mio maestro fece segno
di voler lor parlar segretamente.
Allor chiusero un poco il gran disdegno
e disser: “Vien tu solo, e quei sen vada
che s`i ardito intr`o per questo regno.
Sol si ritorni per la folle strada:
136
pi`u di mille – sono diavoli