Гверрацци Франческо Доменико
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“Il capitano Ferruccio”, – rispose Vico e continua ad allontanarsi.
Annalena si fece al balcone e vide il suo diletto il quale, vergognoso in vista, seguiva un uomo d’arme per aspetto e per dovizia di armi notabile. Per`o non udendo Vico, siccome aveva temuto, muoversi dal capitano alcuna rampogna, riprese animo e, voltosi di repente, vide la fanciulla al balcone, e studioso di giustificare la subita partita, le mand`o una voce sola, e fu questa:
“Libert`a!”
La vergine, fatta delle mani croce, e dimessa la testa in atto di rassegnazione, rispose anch’ella con una parola:
“Sia!”
Capitolo Undecimo
Il profeta Pieruccio
Molto tempo innanzi che le cose narrate accadessero, Malatesta Baglioni certa notte, dopo avere dato volta ora sopra un fianco ora su l’altro, non trovando riposo, balz`o da letto dicendo: “Ma Cencio perch'e tarda tanto a tornare? Se Cencio mi tradisse, se a quest’ora stesse davanti al gonfaloniere dicendogli: Magnifico messere Carduccio, Malatesta vi tradisce… se gi`a si movesse il bargello.... se il carnefice.... ah! Chi `e l`a? Nessuno. Come dura lunga la notte! Questo Cencio oramai ne sa troppe....”
S’intende lo scalpito lontano di cavallo… si accosta… si `e appressato… scende il cavaliere, entra nel palazzo Serristori, salisce frettoloso le scale.
“Questi `e Cencio; riconosco i suoi passi. Lui ne sa troppe.... ne sa troppe; Cencio potrebbe tradirmi, `e colmo sino alla bocca…, bisogna torcelo dinanzi… mezzo palmo di lama, o tre grani di tossico lo spingeranno tant’oltre da non temerne il ritorno. Cencio… – O Cencio, sii il benvenuto, figliuolo mio, ti aspettava....”
“Davvero? rispose Cencio gittandosi sopra una sedia, dove stir`o le braccia e tese le gambe con plebea dimestichezza; – quindi a poco a poco continuava: “Ho sonno, fame e sete.... Malatesta, datemi da bere”.
Il sangue baronale del Baglioni si rimescolava da cima a fondo; un moto delle labbra svel`o il cruccio dell’anima, ma potente com’era a simulare ridusse quel moto in sorriso, emp`i una tazza di vino e, la porgendo a Cencio, favellava:
“Bevi, Cencio, e confortati.... la tua vita mi preme quanto la mia....”
“Ahim'e tristo! sar`o io a tempo domani per testare delle cose mie?”
“Ch’`i questo, Cencio?”
“Nei tanti anni che facciamo via insieme verso l’inferno mi sono accorto, o Malatesta, che quando vagheggiate oltre il consueto qualche famigliare, voi lo avete gi`a in cuor vostro condannato alla morte. Ors`u, se mi deste il veleno, ditemelo, ond’io mandi in tempo pel notaro e pel confessore.”
“Lascia il motteggio, Cencio: papa Clemente accettava il trattato?”
“Pi`u gli aveste domandato, pi`u vi avrebbe promesso; e meno vi manterr`a.”
“E la indulgenza, Cencio, l’assoluzione?....”
“Ahi l’assoluzione.... gi`a anche questa.... e questa, non dubitate, vi manterr`a… non costa nulla…”
Il sole, assai alto, penetrava coi lucidissimi raggi traverso le imposte della stanza del Malatesta, quando uno dei suoi fanti percosse alla porta con molto riguardo. Malatesta, il quale non ben dormiva, ma se ne stava mezzo assorto in cotesto assopimento pi`u assai tormentoso della veglia, perch'e le cause di terrore ti si mescolano confuse senza seguito nel pensiero, di subito domand`o che fosse.
“Magnifico messere, un mazziere della Signoria.”
“Della Signoria! Cencio! o Cencio! odi tu? un mazziere della Signoria....”
“Che ora fa, Malatesta?”
“Un mazziere della Signoria”.
“Buona nuova”.
“Ed io la temo avversa”.
“Avete torto, s’ella fosse avversa, non ve la farebbero notificare per mezzo di mazziere. A gente come siamo noi prima mozzano il capo, fanno poi il processo; animo, su, Malatesta, questa `i una buona nuova”.
“Dio voglia che sia cos`i. Avanti il mazziere”.
Entra il mazziere con grave cerimonia, vestito di scarlatto, con la insegna del cuoune sul mantello, e salutato il Malatesta, gli espose con solennit`a il suo messaggio.
“Strenuissimo e magnifico messere Malatesta, essendo finita la condotta di don Ercole principe di Ferrara, piacque ai signori Dieci, ragunata la Pratica, mandarvi alle fave per subentrargli nell’ufficio di capitano generale della Reppublica. Essendo stato vinto a favore vostro il partito, il magnifico gonfaloniere mi manda a darvene avviso e a pregarvi di stare pronto a riceverne la investitura questa stessa mattina con le consuete solennit`a nella Chiesa di Santa Maria del Fiore”.
“Stamane! appunto stamane! ebbene, andate e riferite ch’io, con le ginocchia della mente chine, ne rendo loro quelle grazie che so e posso maggiori…”
“Addio, messere”.
“Cencio, dov’`e la lettera del papa?”
“Qui sopra la tavola; io l’ho ricoperta con la zimarra di velluto”.
“Tu meriti ch’io ti faccia imbalsamare: porgimela; d’ora in poi non mi uscir`a di dosso”.
E se la ripose insieme colla borsa nella tasca laterale delle larghe brache alla spagnuola. Io pertanto non esporr`o siffatta cerimonia, poich`i se mai, o lettore, ti avvenisse visitare Firenze, andando al palazzo Gaddi ti occorrer`a dipinta in un bel quadro del Rosselli, o del Pomarancio; solo ti dir`o che il gonfaloniere nel consegnare a Malatesta le insegne della sua nuova dignit`a, oltre all’avergli pi`u volte rammentato la morte acerba di suo padre Giampagolo, concluse: